Testualità e spettacolo – sul dramma italiano moderno

Ilona Fried

 Alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento il teatro italiano con i suoi grandi attori (Eleonora Duse per esempio ) ha esercitato sul teatro mondiale una grande influenza, diminuita soltanto con la morte degli artisti più famosi e con l’avvento della cultura di massa e dei media come il cinema, la radio o le manPifestazioni sportive. In Europa, sino agli anni Venti, erano noti i drammi di Roberto Bracco e di Gabriele D’Annunzio, poi si impone a livello mondiale il dramma di Luigi Pirandello. In questo saggio proseguo le mie “passeggiate” (già iniziate nella produzione in prosa italiana) soffermandomi su alcune delle caratteristiche del dramma italiano moderno.

Sulla diffusione del dramma in prosa ha interferito il ritardo nella formazione della lingua italiana, al quale avevo già accennato anche a proposito della narrativa; del resto , all’epoca, la forma di spettacolo privilegiata era il melodramma, dotato di un apparato testuale più letterario e, rispetto al dramma in prosa, più lontano dalla lingua parlata. I linguaggi in uso fino alla seconda metà del Novecento erano i dialetti, tanto è vero che il dramma in dialetto, lo spettacolo dialettale, rimane, malgrado la campagna contraria condotta dal regime fascista, un elemento vivo del teatro italiano.

Come già i colleghi hanno accennato a proposito del teatro anglosassone, (KURDI P/C 1; 113–120), e quello dell’Europa Centrale (MÜLLER P/C 3; 159‒160) nel“periferia” è un fattore assai presente nel teatro italiano: mi riferisco al dramma poetico, prediletto dall’estetica della prima metà del secolo, dell’abruzzese D’Annunzio, ed alla produzione del primo Pirandello, che prende spunto dal teatro siciliano e scrive le sue prime commedie in dialetto agrigentino, pensando, nella stesura dei ruoli principali, ad attori che conosce personalmente; per questi suoi lavori riscuote il plauso dei conterranei, che li apprezzano più delle sue successive traduzioni in un italiano vicino alla lingua parlata e ad a un linguaggio teatrale moderno.

Pirandello ha ottenuto fama mondiale con i drammi scritti nei primi anni Venti, nel clima successivo alla delusione del primo dopoguerra, che hanno punti di contatto sia con il teatro del grottesco, che con il teatro futurista e sono in sincronia con molta parte della produzione teatrale europea e con il pensiero dell’epoca. Sono spesso riconoscibili anticipazioni o punti d’incontro forse anche casuali con il teatro dei periodi successivi, a partire dal dramma esistenzialista, fino all’assurdo, al dramma di Pinter, al contemporaneo Edward Bond.

Gli accenti si spostano dalla ”pièce bien faite” dall’ intreccio lineare, al dramma che induce all’autoriflessione, a generi e ruoli che pur basandosi sulle tradizioni teatrali presentano anche novità notevoli. Si punta sulla possibilità di far teatro su elementi a prima vista contraddittori, sia formali che all’interno dei ruoli e dei generi. Pirandello, alla metà degli anni Venti, fonda un suo teatro dove è anche “metteur en scène”; dopo il fallimento di quest’ultimo porta i suoi drammi con la sua compagnia in tournées per il mondo. In questo modo non solo scrive, ma anche vive il teatro, come fanno anche molti dei suoi colleghi.

In questo saggio porto l’esempio dei drammi Sei personaggi in cerca d’autore e I giganti della montagna, drammi innovatori, che vogliono una ricezione diversa, un diverso rapporto con il pubblico .

Anche D’Annunzio, poeta vate, è un esempio della nuova figura dell’uomo di teatro, che dai miti letterari passa come primo attore nel campo della politica, attrae le masse con i suoi rituali teatrali e dopo il fallimento politico organizza la sua vita sul lago di Garda ancora e sempre come un grande attore sul palcoscenico.

La parabola (pirandelliana) prosegue negli anni ’50 e ’60 nelle opere di vari drammaturghi italiani, pur con connotati diversi: dal dramma-processo di Diego Fabbri, al dramma di Ugo Betti o a quello di Giovanni Testori. Anche i drammi di Pasolini sono spesso incentrati sulla morale. Dario Fo invece elabora in chiave ironica, nella tradizione della commedia, i problemi attuali della società, con testi strettamente legati allo spettacolo ed alla particolare bravura attoriale sua e di sua moglie Franca Rame, figlia d’arte e sua compagna professionale.

Un altro settore del teatro italiano è il teatro napoletano. Napoli è città di grande cultura, con tradizioni teatrali che si tramandano da generazioni: basti pensare ad Eduardo De Filippo, figlio d’arte, vero uomo di teatro, primo attore, autore e regista, ed anche a suo fratello Peppino. Il teatro, il cinema di ispirazione napoletana, per decenni hanno un ruolo importante nella cultura italiana. Ma mentre il dialetto usato da Eduardo è alla portata di tutti, quello usato dai suoi successori, anche napoletani, a parte la poeticità, è in parte deformato e corrotto, spesso per caratterizzare personaggi emarginati o situazioni particolarmente crudeli. Così nel teatro di Annibale Ruccello e di Enzo Moscato, che continuano un’ambientazione particolare napoletana, introducendo però nuovi aspetti sociali ed esistenziali.

Il dialetto palermitano è fonte indispensabile anche del teatro molto particolare di Emma Dante, attrice, regista e autrice che porta la sua compagnia della Costa Sud Occidentale al centro dell’interesse italiano. Fra i contemporanei, anche il suo dramma è un ottimo esempio di come dal testo si arrivi allo spettacolo, di come testualità e teatralità nuove si possano integrare reciprocamente.

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